mercoledì 15 gennaio 2014

Avvoltoi dello stress - Parte Terza.

Ed eccoci alla terza e -spero- ultima maxi - categoria di condor stracciaminchia che sono apparsi nella mia vita da quando sono rimasta incinta. Questa è la mia categoria preferita, in senso ironico: mai e poi mai avrei pensato di doverla fronteggiare. Una si aspetta che le rotture di coglioni maggioritarie provengano da medici e genitori, ma di certo non da...

GLI "AMICI".

Da notare le virgolette. Le ho usate, e le sottolineo, perché gli Amici (senza virgolette) che davvero ti conoscono e tengono al tuo bene hanno un diverso modo di avvisarti sulle cose che credono tu stia sbagliando: lo fanno dolcemente, lasciandoti possibilità di risposta e di scelta, con un tono dietro a cui leggi "Io penso questo, ma se vuoi fare in un altra maniera non te ne farò mai una colpa". Di solito sono anche persone con cui è possibile fare un ragionamento di qualsiasi tipo, o discutere in maniera civile: insomma, persone evolute.
Poi ci sono gli altri. Gli invirgolettati.
Sei uscita con loro fino all'altro ieri e hai anche provato un infinito affetto nei loro confronti, perché in fondo non t'importava poi molto del loro modo di porsi, riuscivi ad apprezzarli così. Dopotutto, non c'erano grandi argomenti su cui potessero scalfirti. Dopodiché sono arrivate le scariche ormonali, il sentirsi punte sul vivo per ogni minima cosa, e ovviamente quel bastimento carico carico di stress tutto per te: la mia leggendaria pazienza zen ha dunque deciso di fare i bagagli per Honolulu, mandandomi un telegramma con scritto che sarebbe tornata per la nascita della bambina. Certo, ogni tanto appare in versione ologramma per ricordarmi che non posso sclerare dietro alle due categorie precedenti, ma con gli amici come la mettiamo? La mettiamo che si esce raramente, e solo con le persone rigorosamente non accompagnate da virgolette.
Per descrivere la persona che si aggiudica il primo posto nella categoria, mi accingo nuovamente ad un preambolo su La mia vita precedentemente alla gravidanza: si parla quindi delle mie tre stelline, le tre migliorimigliorissime amiche con cui ho condiviso sogni, speranze, tormenti e follie nel mio pazzo periodo adolescenziale nonché dolcevitadeiventanni. Per correttezza nei confronti delle loro malefatte, le chiamerò con dei soprannomi: Apples, Mapo e Padme (quest'ultima usa il suo soprannome su Facebook, per cui ho deciso di ribattezzarla come la mia senatrice preferita di Star Wars), nell'ordine di successione con cui sono arrivate nella mia vita. Passato il periodo di disapprovabile follia trascorso insieme (periodo che comprendeva, tra le altre cose: un utilizzo più o meno costante di sostanze di dubbia provenienza ed entità finalizzato all'assassinio spietato di innumerevoli et innocenti neuroni; la partecipazione ad eventi non proprio legali in svariate parti d'Italia; una certa dose di sprezzo del pericolo e di-sprezzo dell'altrui opinione in generale, e per finire un inspiegabile e spasmodico interesse per il paranormale e il misticismo - chi della Terra è stufo in cielo cerca gli UFO, cit.), posso dire che tre su quattro di noi si siano ampiamente ravvedute, chi più chi meno: io sono stata di certo la prima a stancarsi di tutto quel trantran festaiolo (per la mia indole da Snorlax descritta qualche post fa), sostituendolo con sabati sera più caserecci e schiavitù lavorativa; anche Apples ha seguito un percorso molto simile, seppur per differenti motivazioni, fino ad essere persino più occupata di me attualmente - in senso letterale, visto che ora come ora quella che non sta lavorando sono io; Mapo si può dire che sia rimasta un po' la stessa, ma essendo sempre stata quella con più determinazione ed energia di tutte noi messe insieme, non ha fatto alcuna fatica ad inserire anche le responsabilità da "grandi" nella sua vita da instancabile globetrotter.
L'unica ad essere per così dire peggiorata, è Padme.
(Nota: baby, se dovessi leggere questo post ricordati che sono incinta e ripiena di ormoni saltellanti, e ti ho chiamata con un nome bellissimo sperando che ti arrabbiassi un po' meno)
Cominciamo col dire che, al mio annuncio di maternità, è stata l'unica a non fare una piega: non perché non fosse interessata, ma perché un precedente periodo prolungato di trastullamenti vari ed eventuali l'aveva resa incapace di esprimere le proprie emozioni al momento giusto e con il giusto entusiasmo. Nell'ultimo anno, ogni volta che la vedo mi sento più inquieta: ciò che ho principalmente notato, dispiacendomi non poco, è che il suo sguardo si sia fatto via via più vitreo rispetto agli occhietti felici alla Albus Silente che ero abituata ad incontrare; riesce raramente a seguire un discorso serio dall'inizio alla fine senza divagare o distrarsi, ed il suo contatto con la realtà è praticamente assente: non pensa mai alle conseguenze delle sue azioni sugli altri o nell'ambiente in cui si trova, e quelli che prima erano culturali e sani interessamenti a sciamanesimo, misticismo e vita oltre la Terra si sono pian piano trasformati in ossessioni e paranoie verso tutto ciò che la circonda.
Abbiamo tentato di farle notare cotali cambiamenti, sempre senza successo: ci siamo poi rassegnate al fatto che fosse comunque la nostra Padme, e l'avremmo accettata così come lei ha sempre accettato noi.
Nelle amicizie sono pur sempre una seguace del vivi e lascia vivere, ed è proprio da ciò che deriva la mia somma incazzatura: appena le ho detto di essere incinta, salvo breve parentesi felicitazioni, ha cominciato a tormentarmi.
Ora, se esiste una categoria vuol dire che non è l'unica esponente tra le teste matte di mia conoscenza ad avermi rotto le ovaie, ma è di certo la più importante - e soprattutto, la più inaspettata.
Ci siamo ritrovate una delle mie ultime sere sociali presso la solita Osteria da noi frequentata, e dopo avermi a malapena salutata ha pensato bene di darmi della stronza perché non avevo ancora smesso di fumare; dopodiché ha snocciolato una lista dettagliata di catastrofi indicibili derivate dal fumo in gravidanza (quindi si era persino informata a riguardo), per finire l'opera con un bel "Ah, ti incazzi vedo! La verità fa male, eh?!". La tentazione è stata quella di alzarmi e tornare a casa, ma come ho già detto era una delle rare ed ultime serate sociali, e non avevo alcuna intenzione di farmela rovinare sul nascere.
Capisco la tentazione di molte persone, specie non fumatori, di rimproverarmi perché ancora fumo un paio di sigarette al giorno. Ma ho le mie motivazioni, chi mi conosce le comprende: pur sapendo di sbagliare, ad esempio, ritengo ci siano cose peggiori (tra le quali figurano anche gli antibiotici che ho dovuto assumere e il dovermi nutrire solo di alimenti provenienti da un accuratamente sorvegliato sistema industriale, del quale per inciso non mi fido affatto) con cui danneggiarmi. Tuttavia, non comprendo né tantomeno ho intenzione di tollerare una critica pesante e gratuita posta da qualunque persona che non sia in grado di tutelare nemmeno sé stessa in quanto ad autodanneggiamento, specialmente se tale persona è residente a Neverland da anni ed ha sempre inteso la favola delle cicala e della formica come proporzione Formica : Stronza = Cicala : Divertente.
Il fumo non è stato l'unico argomento a stimolare quest'inspiegabile accanimento da parte sua: ogni volta che su sentiva ispirata ha provveduto ad avvisarmi riguardo ad altre calamità riguardanti nascite e gravidanze, con un atteggiamento oltremodo terrorizzato e terrorizzante derivato dal distacco dalla realtà di cui parlavo prima: pillole al fluoro somministrate ai neonati senza consenso, vaccini pro autismo, placenta dimenticata nell'utero della madre, rischi letali del sacrilego latte in polvere e totale cattiveria della madre se decidesse di usarlo, microchip del controllo, e chi più ne ha più ne metta. Un bel pacchetto All Inclusive, sufficiente a farmi rinchiudere in casa per giorni a guardare solo cartoni animati per riuscire a tirarmi fuori dalla preoccupazione.
Come ho già spiegato, lei è solo il Pifferaio di Hammelin di questa congrega di sgranocchiaballe: in particolare, ho affrontato il resto del sorciame durante la sera del ventisette dicembre, quando ho giurato di non partecipare mai più ad una situazione di socialità che comprendesse individui che non considero all'altezza del mio cervello. Mapo era appena tornata dalla sua residenza crucca, ed aveva organizzato un festino in garage come ai vecchi tempi: un buffet enorme e molto vario e la presenza di bevande analcoliche avrebbero garantito la mia sopravvivenza "sana" anche in una situazione che un tempo significava solo bisboccia alterata fino al mattino. Bene, nel corso della serata ho subito:
- Domande rassicuranti sul genere "Cosa ci fai qui? Non sei incinta?" (sì, incinta, non malata terminale, pezzo di idiota) e "Perché non sei rimasta a casa, ti sembra il caso con quel pancione?";
- Osservazioni riguardanti l'argomento che sembra essere il favorito, cioè il fumo, del tipo "Non puoi fumarmi vicino perché non voglio essere responsabile dell'uccisione prematura di tua figlia" (RENDIAMOCI CONTO), o altri snocciolamenti di catastrofi già illustrate da Padme (probabilmente aveva divulgato la ricerca) recanti anche opinioni di ginecologhe di Alpha Centauri - o almeno presumo, visto che a raccontarmele erano uomini;
- Espressioni stupite mentre riuscivo addirittura a ballicchiare delle canzoni anni ottanta nelle mie precarie condizioni, con tanto di incitazioni a "non stancarmi troppo";
- In seguito alla valanga di critiche, quando ormai pensavo avessero finito gli argomenti o almeno di averli zittiti a sufficienza, una sensazione come di forzatura ad ignorarmi: sia in quanto etichettata come "madre snaturata", sia come "donna incinta che non è qui per bere litrate di vino e vomitare da domani mattina in poi, quindi in realtà non so di cosa parlarci".
Tale trattamento è stato sponsorizzato in particolare da tre persone: un tizio conosciuto rispettivamente per la sua assenza di palle combinata ad un carattere pesante ed insopportabile, e per le sue paranoie sul fatto che la gente possa mangiare dei cracker sui sedili dietro della sua macchina (non scherzo); un vecchio amico, una volta socialmente considerato, che ora mostra una carnagione cianotica, una progressiva stempiatura mal celata da un tentativo di riporto dall'aria unticcia, e una flebitica e floscia pancetta - tutte conseguenze del fatto che passa le sue giornate a mangiare cotolette e pizza giocando al videopoker, invece di finire l'università alla quale è iscritto da circa sei anni; e ultimo, un ancora giovincello dall'aria allampanata ed occhialuta che in realtà ritenevo intelligente - questo prima di scoprire che qualche anno addietro facesse parte di un trio di ragazzini che chiamavo, non troppo amorevolmente, i K. Boys: tre preoccupanti sbarbatelli ancora liceali che durante le feste nei locali stavano a malapena in piedi, ma andavano a vantarsi biascicando con quelli più grandi di quanto sballati fossero e quanto questo li rendesse troooppofighi. Se non sbaglio, uno dei tre è recentemente morto affogato dopo una pera vicino al fiume. Troooppofigo.
Davvero queste persone hanno il diritto di criticare il mio modo di comportarmi?
O ci si basa forse sul principio che sia più facile criticare qualcun altro, piuttosto che rendersi conto della famigerata Trave nel Proprio Occhio?

Ogni altra neomamma giovine che abbia incontrato mi ha dato lo stesso resoconto - al massimo leggermente mediato dal fatto che magari qualcuna di loro aveva frequentato compagnie più sane: il mio è di certo un caso estremo da questo punto di vista, e per fortuna conosco anche innumerevoli altre persone che mi rispettano e portano solo sorrisi nelle mie giornate. Perché è solamente di questo che ha bisogno un donnino in gravidanza: sorridere, ed essere tranquilla. Possono aspettare anche l'acido folico, la cioccolata e la spesa a domicilio. Ci sono milioni di informazioni terrorizzanti su ogni diamine di mezzo di comunicazione riguardo alla nascita di un bambino e, come capita per ogni argomento importante, ci sono anche milioni di teste di cazzo pronte a leggerle o ascoltarle per poi autoeleggersi docenti di ostetricia a spizzichi e bocconi. Quello che non scrive o dice nessuno, alla fine di queste informazioni, è la cosa più importante: NON FATE LEGGERE / SENTIRE QUESTO AD UNA DONNA INCINTA. Evitate di riferirglielo anche in forma sintetica, anche perché non sapete se possa essere vero, e poi sul serio, che diavolo di scopo c'è a fare una cosa del genere? Volete davvero avvisarla per aiutarla? In tal caso, un barattolo di gelato alla crema darà più risultati. Almeno se vi considerate suoi amici: ricordate che ci sono altre due enormi categorie di persone, prima di voi, a complicarle la vita. Più gelato, meno terrore.

venerdì 10 gennaio 2014

" Il Principe e la Principessa " - ovvero: mamma, come vi siete conosciuti tu e papà?

C'era una volta una Principessa che abitava in un grande castello, nella campagna vicino ad una piccola città.
Aveva diciotto anni, e tutti si aspettavano grandi cose da lei: il Re suo padre avrebbe voluto essere raggiunto nelle terre calde del sud, i principi suoi fratelli pensavano invece sarebbe partita alla volta di grandi viaggi nel mondo: ma la principessa, nell'inquietudine tipica della sua età e con un animo un po' malinconico ed autunnale, preferiva rimanere nelle nebbie dei luoghi dov'era sempre vissuta, dilettandosi con le arti e le sue damigelle di corte. Queste damigelle erano un po' matte, e spesso trascinavano la principessa in bizzarre avventure che di certo il Re avrebbe disapprovato; si accompagnavano spesso a felloni di rango minore, o si facevano trasportare in calesse dai matti del paese e dai giullari di corte. All'amore, lei non pensava proprio: i principi al tempo scarseggiavano, o quelli che si presentavano erano del tutto inetti ed inadatti.
Una sera però, la principessa si recò ad una festa con una delle sue damigelle: avrebbe dovuto essere una grande occasione, invece si rivelò un ricevimento piuttosto deludente, poiché molti invitati avevano disdetto la loro partecipazione. C'era però, tra i pochi partecipanti, un Principe che non era estraneo agli occhi della ragazza: in tenera adolescenza l'aveva notato ai balli mentre faceva il farfallone con ogni dama della corte, senza però che lui la degnasse di uno sguardo. In seguito, egli aveva disertato sempre più spesso la mondanità di palazzo ed aveva finito per trasferirsi in un altro regno, quindi era molto che i due non si incontravano.
Quella sera, in verità, sembrava un po' matto: sia perché sembrava non notare la tranquillità del ricevimento e si ostinava a ballare senza sosta, sia perché ad un certo punto andò dalla Principessa e le disse: - Non so se sia il vino a parlare, ma voi mi avete rubato il cuore.
Non era certo il modo più romantico per dichiararsi, ma funzionò: si diedero un sacco di baci e ballarono tutta la notte. Verso il far del mattino la Principessa dormiva con la testa appoggiata sulle ginocchia del suo Principe, che le accarezzava i capelli.

La settimana seguente, un nove di aprile, c'era la Grande Festa di Pasqua, un ritrovo danzereccio agreste: fu lì che i due decisero di fidanzarsi, raccontandosi cose dolci e meravigliose e vagando mano nella mano tra i campi del regno. Il Principe era così bello che la Principessa non poteva credere volesse proprio lei, tra tutte le pretendenti; la loro intesa suonava armoniosa, il loro incastro era perfetto, mai due persone in tutto l'universo sembravano accompagnarsi così bene l'uno all'altra. Passarono quasi un anno idilliaco, accecati dalla luce di tale affinità... ma ecco avvicinarsi la prima verità celata in questa fiaba: nessun amore può essere così per sempre, o almeno non tra due normali umani come i nostri protagonisti.
Entrambi avevano infatti i loro difetti, che d'un tratto sembrarono stupirli l'uno dell'altra: il bizzarro Folletto del Tempo adora trastullarsi con le imperfezioni umane, a volte persino accendendole di colpo, rendendole inaspettatamente evidenti. Il Principe aveva mantenuto il suo temperamento pratico e determinato, spesso anche troppo legato alla realtà; la Principessa, invece, amava sognare e divagarsi tra studio e divertimenti, senza essere mai troppo responsabile della sua vita. Finirono per allontanarsi, e fu lì che il Principe venne soggiogato dall'incantesimo di svariate megere: alcune dame e duchesse, prese dall'invidia e dalla solitudine, avevano cominciato ad interessarsi di magia nera, con particolare dedizione verso gli Inganni della Seduzione. Il Principe, sotto l'effetto delle pozioni, sembrava cambiato, freddo e distante, ed ovviamente abbandonò la Principessa.

Ella era inconsolabile; le sue damigelle si prodigavano molto per trascinarla da una festa all'altra per poterla distrarre, ma finivano sempre per incontrare proprio l'oggetto del suo tormento. Conobbe altri giovani felloni, ma erano come quelli che aveva incontrato prima dell'arrivo del suo principe: inetti ed inadeguati, spesso più interessati alle grazie della Principessa che al suo amore.
Come se non bastasse, il Re aveva cominciato ad essere piuttosto pressante sul futuro di sua figlia: se voleva rimanere a palazzo, doveva decidere che cosa fare. Per tutta risposta lei scappò dall'altra parte del Regno, rifugiandosi a casa del suo caro amico Duca di Blackbird. Essendo ospite e non volendo gravare più del dovuto sul suo amico Duca, dovette adattarsi al lavoro ed a molte più fatiche di quelle precedentemente affrontate nella vita d'alto rango: inspiegabilmente, era molto più felice così. Rimase una sognatrice, ma acquisì anche risolutezza e coraggio: era finalmente cresciuta, ed un po' sembravano alleviarsi anche le sue pene d'amore. Riusciva a fingere che non le importasse più nulla, anzi, con il Principe si era anche un po' arrabbiata: ignara dell'incantesimo da lui subito, si era infine convinta che fosse come tutti gli altri inetti del regno.

Nel frattempo lui continuava a subire i filtri ingannatori propinati dalle malvagie megere, le quali non avevano però considerato un particolare: il corpo umano, a lungo andare, si abitua a qualsivoglia veleno, ritornando via via ad uno stato normale. Così anche il Principe si stava abituando a quelle sostanze, e sembrava ora ricordarsi di ciò che aveva provato con la Principessa, sentendone la mancanza ogni giorno di più.
Tornò da lei un anno dopo la loro rottura, quando finalmente gli incantesimi non esercitavano più nessun effetto.
Non dimentichiamoci però che lei era ancora piuttosto in collera col povero Principe, appunto perché ignara del tiro mancino delle megere: decise quindi di punirlo e metterlo alla prova allo stesso tempo, facendogli credere di essere ormai promessa in sposa ad un vile giullare.
Il Principe rimase deluso, poi si arrabbiò con lei, sembrò voler tornare sui suoi passi e non volerla più nemmeno vedere... ma sotto sotto il loro amore era ancora puro ed idilliaco, nonostante i dardi del Folletto del Tempo, e i due non potevano fare a meno di accorgersene. La Principessa capì che solo un incantesimo malvagio avrebbe potuto allontanare il suo Principe da lei, e presa dal rimorso confessò che non c'era nessun giullare a cui sarebbe andata in sposa: l'unico vero Amore, per lei, era sempre stato solo il Principe.
Da quel momento in poi non si lasciarono mai più.
Certo, non erano più accecati dalle farfalle delle nuove emozioni, ora si guardavano l'un l'altra per ciò che erano in realtà: con tutti i loro difetti e le loro imperfezioni, che amavano tanto quanto i rispettivi pregi.
Andarono a vivere insieme, prima in un castello un po' malconcio, e in seguito in una piccola e bellissima dimora come quella che avevano sempre sperato di trovare. Nessun incantesimo malvagio avrebbe più potuto fare effetto su di loro, perché avevano imparato a combatterli e sconfiggerli tutti. Le megere dedicarono ad altri le loro attenzioni, sapendo di non poter più vincere.
Anche il Re fu contento per loro, così come le damigelle, il duca di Blackbird e tutti gli altri benevoli personaggi di questa storia.
Presto sarebbe nata anche l'ultima, bellissima conferma della loro unione: una piccola principessina, che col suo meraviglioso sorriso avrebbe cancellato ogni forma di cattiveria dal regno nei secoli dei secoli.


E vissero per sempre felici e contenti.

giovedì 9 gennaio 2014

Avvoltoi dello stress - Parte Seconda.

Buon anno nuovo e buon nuovo blog!
Scrivo dopo il ritorno dalle visite parentali: ho passato ben otto giorni  in quel di Napoli, dove mio padre abita e dove, di conseguenza, sono costretta a recarmi ad intervalli non troppo regolari per poterlo vedere.
Di solito, a sentire questa affermazione, le persone si pongono un mucchio di domande, tipo: cosa ci fa a Napoli se tu abiti nel profondo nord? E con chi vive lì? Epperché? Mi accingo dunque ad esporre un brevissimo (per quanto possibile) preambolo familiare, così da poter procedere con il vero scopo del post - ovvero, la seconda parte di "Avvoltoi dello stress ".

( NOTA NECESSARIA PRIMA DI COMINCIARE: questo post tratterà di persone a me molto care, che vorrei vivessero per sempre e senza le quali non saprei vivere. Ma ne tratta in modo lamentoso, puntiglioso, criticone e un po' bastardo: d'altronde, le persone che conosciamo meglio sono anche quelle che riusciamo a giudicare in modo più schietto, e ora come ora tutti si sentono in diritto di giudicare me - quindi sono molto felice di avere una pagina dove poter sproloquiare anch'io, non potendo farlo di persona onde evitare risentimenti vari - soprattutto miei )

Presupponiamo che l'ingrediente principale che caratterizza la mia famiglia, più stretta ma non solo, sia la Follia. Non intesa come pazzia medica, ma come mattitudine generica non diagnosticata. All'inizio potevamo sembrare quasi normali, almeno per chi non ci conosceva: avevo un papà e una mamma con la stessa residenza, più un paio di fratelli e una sorella molto più grandi di me - i quali, proprio per questa differenza d'età, mi hanno sempre adorata e coccolata come la "piccolina di casa". Non vi espongo le parentele che ci legano e che trasformano ogni rappresentazione di albero genealogico in un cespuglio di rovi, mi dilungherei troppo (ma ci tornerò su, credo), vi basti sapere che siamo una di quelle famiglie composte, ma la pubblicità dei sofficini Findus che uniscono le famiglie di questo genere ci fa una sega.
Mio padre non è mai stato molto presente nella mia infanzia, diciamo pure che preferiva stare in viaggio e fare l'uccel di bosco a tempo pieno, probabilmente per la sua scarsa attitudine alla pazienza nei confronti di qualunque forma di vita. Disgraziatamente, mia madre morì prima che io compissi undici anni, proprio nell'esatto momento in cui lui cominciava a transitare sempre più spesso in territorio partenopeo per mancanza di lavoro al nord: tale situazione lo portò, l'anno dopo, a trasferirsi definitivamente.
Ora, qualunque genitore avrebbe deciso di portarsi dietro anche la figlia minorenne e appena traumatizzata - ma, come dicevo, lui non ha mai passato molto tempo ad occuparsi di me, quindi per i miei fratelli fu relativamente facile convincerlo a lasciarmi a Treviso con loro. Ovviamente conobbe una nuova compagna a breve, napoletana verace con l'aspetto di Celìne Dion, diciott'anni più giovane ma abbastanza saggia da poter affrontare il family pack imbordellato che sfoderava quell'affascinante pelatone. Mi sono chiesta molte volte come facesse a sopportarlo: stiamo parlando di uno degli uomini più egocentrici, egoisti e menefreghisti della terra intera (poi i fatti hanno dato una risposta ai miei dubbi piuttosto in fretta, ma ne parlerò in seguito). Io sono sempre stata il suo "gioiellino", da esporre e mostrare agli amici (cosa che ha creato conflitto nel momento in cui scoprì che il gioiellino si ammazzava di canne da mattina a sera e si faceva fare i piercing al setto nasale negli scantinati, ma non divaghiamo): semplicemente, un nutrimento per il suo ego spropositato. E nonostante tutto, è pur sempre il mio papà, ed io gli voglio molto bene. Anche per questo motivo, il trentuno dicembre - una volta finiti gli antibiotici ed accertatami del mio stato di salute più o meno stabile - ho deciso di fare finta di non sentire le parole "lombosciatalgia", "riposo" e "ipertiroidismo", e mi sono imbarcata da sola in un viaggio di quattro ore in treno per raggiungerlo e nutrire il suo egocentrico bisogno di vedermi senza dover faticare.
Inutile dire che per sette giorni su otto ci sono state discussioni su qualcosa di sbagliato che ho detto o pensato, o su argomenti familiari specifici in cui sanno che non avremo mai la stessa opinione. Non ho ancora ben capito se i miei ormoni galoppanti mi abbiano reso particolarmente intollerante ai loro punzecchiamenti, ma temo di non sbagliare se dico che da quando sono incinta hanno milioni di argomenti in più con cui tormentarmi.
Mio padre si guadagna il primato nella categoria di avvoltoi dello stress che mi accingo a descrivere:

I GENITORI.

Per fortuna, nel primato di questa categoria non è l'unico ad occupare la top three.
Già: subito a seguire possiamo trovare mio suocero, un altro uomo in grado di essere tanto adorabile quanto asfissiante.
Di solito, la rompimaroni per eccellenza è rappresentata dalla famigerata figura della Suocera: ebbene, non è proprio il mio caso. Mia suocera, infatti, non figura assolutamente nella categoria: trattasi di una donna fantastica, molto dolce ma non melliflua, premurosa ma non invadente. Un amore di mamma, pragmatica, sprint, lavoratrice instancabile, con un gran senso dell'umorismo e due palle cubiche. In una famiglia (la mia) dove le Suocere hanno rovinato il 90% dei rapporti sentimentali , questo è un enorme regalo... ma, ovviamente, non può essere tutto rose e fiori. Per questo ci sono i due uomini a sostituire, in due modi diversi e complementari, questa figura da sommo scartavetramento di ovaie.
Non potrebbero esistere due persone più diverse: basti pensare che uno è nato lo stesso giorno di Hitler (mio padre, già) e l'altro, invece, lo stesso giorno di Che Guevara. Mio padre è un imprenditore assolutamente destrorso, capitalista fino all'osso ed adoratore delle apparenze, del lusso e della ricchezza materiale, edonista, pregiudicato ed un po' tanto losco, e come ho già detto cronicamente egocentrico, egoista e menefreghista nei confronti dei bisogni umani; l'aspetto curato ed elegante, i vestiti firmati, magro e con i capelli scuri, risente delle origini partenopee (mio nonno) e della Venezia altolocata in cui ha vissuto da giovane: un wannabe Gianni Agnelli moderno. Mio suocero, all'opposto, se potesse andrebbe in giro su un tappeto volante rosso con una stampa a falci e martelli: sindacalista convinto e fan sfegatato di Altroconsumo, abbonato al Manifesto ed al Vernacoliere ormai da anni, un passato di lotte contro Il Potere del Capitale anche nel suo ambiente di lavoro, quello medico, professione che denota già una predisposizione alla sensibilità nei confronti dei bisogni del prossimo - non senza l'accanimento che contraddistingue ogni buon protestatore rosso; onestissimo sempre e comunque, perennemente in felpa di pile e mocassini di marca sconosciuta, cresciuto tra vita nei campi e tessere del PCI: un omone con gli occhi azzurri e la faccia buona, ma pur sempre ferma e concreta, che ha partecipato al limite del soffocamento alla vita del suo unico figlio. Sono entrambi due persone piacevoli, di compagnia e abbastanza diplomatiche, per cui quelle poche volte che siamo costretti a farli incontrare sembrano persino andare d'accordo. Per il resto, sono uniti solo dall'affetto che provano per i rispettivi figli e partner degli stessi (per fortuna).
Sì, siamo un po' divisi tra due fuochi.
Da una parte mio padre, che come ho già accennato, pretende onore et adorazione in quanto pelato et anziano genitore: quindi, farsi quattro ore di treno da sola con i bagagli e una pancia da quattro chili non è un problema che lo riguarda, l'importante è che non sia lui a doversi muovere, anche se sarebbe molto più comodo. Mi ha convinto ad affrontare quest'Odissea il venticinque dicembre, quando ha sfogato ben bene la sua tendenza al melodramma (o mariomerolata, come la definisce mio fratello): io che chiamo allegramente per gli auguri, e mi arriva per tutta risposta una voce da funerale che comincia ad autocommiserarsi per il fatto che noi figli non lo andiamo a trovare per Natale, e lui il venticinque è senza famiglia, e quanto è triste e solo e sfortunato. Tutto con un tono di rimprovero nei miei confronti, perché cosa saranno mai le settecentoquattordici magagne da me subite nell'ultimo gravido periodo in confronto al povero papà abbandonato proprio il giorno della nascita di Gesù?  Guai a volerglielo sottolineare. Ad urlare vince lui, e a sensi di colpa io mi faccio sempre rigirare. Potete immaginare che il mio venticinque è stato una merda, il mio ragazzo ci ha messo un'ora buona a placare i miei singhiozzi, e sono arrivata a pranzo dai miei suoceri con una faccia che ricordava il due novembre. Quei sensi di colpa si sono trascinati placidamente fino al trentuno mattina, quando in preda alla rassegnazione ho guardato i treni diretti al meridione.
Altra badilata sugli alluci mi venne conferita uno di questi pomeriggi, mentre parlavamo del corredino da portare in ospedale quando sarà il momento. La sua illuminata massa cerebrale se ne esce candidamente con la domanda: ma non sarebbe meglio che partorissi qui a Napoli? *silenzio imbarazzante*. Non credo serva specificare che a nessun genitore sano di mente verrebbe in mente solo di porre una questione del genere. Una questione che comprenderebbe, in sintesi, un mese almeno di trasferimento prima e uno dopo il parto a casa dei miei, con conseguente isolamento dovuto al fatto che né il mio ragazzo né altri amici o parenti riuscirebbero a venirmi a trovare, perdippiù in una casa nella quale non so nemmeno dove siano gli asciugamani, dove ogni angolo è asettico e ricoperto di chincaglieria antica e tessuti facilmente rovinabili da un rigurgito infantile, e dove ti tocca fare cinque chilometri + scale per raggiungere la camera da letto dalla cucina. Meglio la grotta con l'asino e il bue. In questa crociata dell'orgoglio, figura come sempre al suo fianco lei, la sua Eva Braun, la mia matrigna che in realtà non è cattiva - solo che ogni tanto la disegnano con il limone. A volte - imprevedibilmente - mi difende, ma sul tema nipoteinarrivo è raro che ciò succeda. A lei conferisco la terza posizione, sia per la minor costanza nel proporre critiche ed esantemi anali con regolarità, sia perché poi riesce a farsi perdonare con premure extra da mamma chioccia nelle quali io mi adagio come in un pouf a sacco. Anticipo la sua descrizione in seguito a quella di Adolfo, trovandola molto spesso in combutta con lo stesso a darmi spudoratamente torto per questioni quali: preparazione di cibi per neonati, toxoplasmosi, leggende metropolitane più o meno sfatate sulla possibilità di ingerire certi tipi di cibi in gravidanza o allattamento ( - La puoi bere la birra! Fa montare il latte! -  - Ma sono solo al quinto mese, e poi mi dà fastidio anche l'odore dell'alcol ora come ora -  - Bé, potresti sforzarti.. - ), paragoni con altri bambini della famiglia prima ancora di averla messa al  mondo (in particolare utilizzando la nipote grassoccia, rompiballe e piuttosto brutta come esempio "sano" e l'adorabile et bellissimo figlio di mio fratello come esempio "denutrito" e "lagnoso" - viva il Mondo degli Opposti), possibili catastrofi perché qualcuno ti ha regalato una tutina prima del sesto mese (proverbiale superstizione meridionale), eccetera. Mio padre sostiene le sue tesi portando esempi di vita vissuta con mia madre che non può sapere, visto che il 90% del tempo non era nemmeno lì a presenziare; la mia matrigna, invece, sostiene e sponsorizza il tutto come una persona che, per quanto in gamba nell'avermi allevato dalla prima adolescenza in poi, non ha mai dovuto / voluto / potuto dare alla luce dei figli provenienti dal suo utero. La sua casa asettica e perfettamente ordinata, i suoi programmi di gestione della giornata sequenziali ed organizzati e la sua carriera programmata in anni in cui ancora si poteva non hanno mai subito lo sconvolgimento dato dall'arrivo di un pargoletto che urla e chiede attenzioni costanti. Ma guai a dirglielo, passerebbe dall'offeso al passivo-aggressivo, alla tristezza / senso di inadeguatezza che farebbe sentire una merda chiunque. Occhi al cielo e via, insomma.

Orbene, mi sono dilungata anche troppo sul mio patrimonio genetico acquisito e non, e non voglio che i miei sembrino gli unici pazzi. Passiamo alla parte opposta: l'adorabile uomo che asfissia, la seconda postazione in classifica: mio suocero.
Come prima accennavo, lui ha partecipato attivamente alla vita di suo figlio: non ha mai mancato una partita di calcio o qualsiasi altro evento saliente, ha sempre elargito aiuto per ogni evenienza, rimanendo al limite tra il consiglio e l'imposizione. Ad oggi, è il primo ad essere chiamato quando il mio ragazzo ha un problema - cosa non sempre positiva, nel senso che tende all'intromissione anche quando non viene interpellato. Quando poi suggerisce qual è la cosa migliore da fare, ovviamente secondo lui, pretende che la si segua alla lettera: se dovesse avere la sensazione che ciò non accada, passa al tartassamento - tecnica che io chiamo Della Goccia per il suo modo di picchettare con regolarità una superficie fino ad arrugginirla. Chiama due, tre, otto volte al giorno tutti i giorni chiedendo "Allora hai fatto così? No, perché è il modo migliore, quindi devi farlo. Perché se non farai così ti succederà quest'altro." Il suo potere di convinzione si basa senza dubbio sullo sfinimento, motivo per cui alla fine la risposta, da parte di suo figlio, sarà sempre "Ok papà, lo faccio".
Devo dire che questa sua costanza ha influito anche su di me: prima di conoscerlo, non andavo a votare e non mangiavo tre quarti delle verdure esistenti (e ancora insiste sull'insalata che detesto). Ora le verdure mi piacciono (a parte l'insalata) e quando c'è da votare mi precipito anche la mattina presto, solo pensando all'espressione di disapprovazione che potrei vedere sul suo volto in seguito.
Presumo che questo potere si sia, nel tempo, fuso con il suo metodo educativo: il modo di vedere la realtà di suo figlio finisce sempre per coincidere con il suo, giusto o sbagliato che sia. Consideriamo anche il suo mestiere: lavorando in campo medico, si sente un po' il guru indiscusso in materia - e neanche a dirlo, condivide questo sentimento con il suo figliolo.
Ora, senza nulla togliere alla sua bravura e professionalità, vorrei specificare che non è medico, ma infermiere. E io (sì, ho delle convinzioni piuttosto radicate e cariche di pregiudizi, ma fondate sull'esperienza personale purtroppo) già mi fido poco dei medici, quindi si può facilmente immaginare quanto mi fidi della sapienza infermieristica. Generalmente, infatti, liquida tutto con a) una puntura (AARGH); b) un "non è niente": l'ultima volta che l'ha detto, il mio ragazzo aveva una torsione testicolare di 180°, a causa della quale dovette anche subire un'operazione (la palla comunque è ancora al suo posto, a titolo informativo - e a quanto pare funziona benissimo). Ho un determinato ricordo che riguarda una litigata feroce in un ferragosto, quando un grumetto di bolle da calore si presentò nella mia zona perineale: il mio ragazzo pretendeva che io la mostrassi a mio suocero. CERTO, chiunque si sentirebbe a proprio agio a fare una cosa del genere. Il fatto che abbia lavorato per secoli nell'ospedale migliore della città è allo stesso tempo un'ansia e una consolazione: avrò una persona di riferimento che conosce chiunque lì dentro ed un gigantesco passepartout per ogni sala - ma visto che è un po' libero di scorrazzare dove gli pare, temo si presenti in sala parto di punto in bianco chiedendo allegramente "Alloraaaaa, dov'è la testa della mia nipotina?!"
Dulcis in fundo, descriverò anche il suo apice di rompiballità: era un pigro sabato pomeriggio di metà autunno, il mio ragazzo (è scomodo dire sempre "il mio ragazzo", lo so, ma non gli ho ancora chiesto se è d'accordo che scriva il suo nome) aveva lavorato come uno schiavo per le due settimane precedenti e io uscivo da un'orribile settimana in ufficio, come da copione. Ci stavamo quindi dilettando con attività rilassanti quali Final Fantasy (lui) e Candy Crush Saga con Gatta in Braccio (io) direttamente dal divano, indossando indumenti soffici e sformati, decisi a rimanere in totale isolamento et svacco almeno fino al giorno seguente.
Potete immaginare l'inquietudine quando è suonato il campanello, ma dalla telecamera esterna non si vedeva alcuna persona... perché quella persona, nel giro di un secondo e senza essersi annunciata, era già in salotto.
Questo è il brutto di avere una casa senza un vero e proprio "ingresso blocca-ospiti". Insomma, se uno sa da che parte andare e la porta non è chiusa a chiave (di giorno quasi mai, visto che per fumare o buttare la spazzatura si va fuori), entra senza problemi.
Mio suocero prova un particolare piacere ad entrare senza suonare, e quella volta era ovviamente lui ad essere nel nostro salotto. Per quale motivo? Visita di piacere? Secondo la sua ottica, sì. Era infatti venuto a dirci che secondo lui tenere una casa in affitto vuol dire gettare i soldi dalla finestra, che aveva visto una casa da comprare, era andato a vederla e si offriva di pagarcene almeno metà. Oro colato, direbbe la maggior parte delle persone. Certo, se non fosse stato che: a) ci eravamo trasferiti da appena due mesi in una casa meravigliosa, e avevamo appena smesso di scartabellare gli scatoloni; b) come se il punto precedente non bastasse, traslocare anche la neonata / il mio pancione oltre agli scatoloni sarebbe una fatica immane; c) la casa che egli aveva visto (senza consultarci), guarda caso, era situata proprio dietro la dimora suocerale (ARRRRRRGH). Mettiamoci anche che avevamo appena felicemente abbandonato un odioso condominio per una casa quasi singola, invece la casa da lui proposta sarebbe stata proprio in un (seppur piccolo) condominio. La mia perentorietà sulla decisione è servita per metà, dato il risentimento da lui provato alla minima reazione negativa: il mio ragazzo ha tentato infine di dargli un contentino andando a vedere il suddetto appartamento, quindi so bene che la sua insistenza continuerà ancora a lungo.

Dopo tutto questo sproloquiare, posso anche ritenermi fortunata, persino rispetto alle unioni che ho vissuto (da spettatrice) nella mia famiglia: nonne arpie che non accettano nemmeno un matrimonio o o rifiutano nipoti acquisiti, suocere che si piazzano in casa con la netta intenzione di mandare in vacca l'armonia familiare e il potere decisionale della nuora o che dilapidano patrimoni in due pesi e due misure, preferendo un figlio all'altro.
Ed è pur sempre un tipo di accanimento che davvero mi lascia oltremodo perplessa: con tutte le difficoltà che si presentano in un'occasione del genere, c'è davvero bisogno di subire valanghe di malessere dalle persone che a loro volta ci hanno messi al mondo? Voglio sancire qui, in questo blog, di non rifare mai questo stramaledetto errore, neanche in minima parte. 

Hai capito, piccola mia? La mamma l'ha scritto, quindi dovrà farlo. Sempre se esisterà ancora, potrai usare questa pagina come ricatto - magari vendicandoti delle tue foto vestita da gufo che pubblicherò sulla mia pagina Facebook il prossimo Halloween.