giovedì 9 gennaio 2014

Avvoltoi dello stress - Parte Seconda.

Buon anno nuovo e buon nuovo blog!
Scrivo dopo il ritorno dalle visite parentali: ho passato ben otto giorni  in quel di Napoli, dove mio padre abita e dove, di conseguenza, sono costretta a recarmi ad intervalli non troppo regolari per poterlo vedere.
Di solito, a sentire questa affermazione, le persone si pongono un mucchio di domande, tipo: cosa ci fa a Napoli se tu abiti nel profondo nord? E con chi vive lì? Epperché? Mi accingo dunque ad esporre un brevissimo (per quanto possibile) preambolo familiare, così da poter procedere con il vero scopo del post - ovvero, la seconda parte di "Avvoltoi dello stress ".

( NOTA NECESSARIA PRIMA DI COMINCIARE: questo post tratterà di persone a me molto care, che vorrei vivessero per sempre e senza le quali non saprei vivere. Ma ne tratta in modo lamentoso, puntiglioso, criticone e un po' bastardo: d'altronde, le persone che conosciamo meglio sono anche quelle che riusciamo a giudicare in modo più schietto, e ora come ora tutti si sentono in diritto di giudicare me - quindi sono molto felice di avere una pagina dove poter sproloquiare anch'io, non potendo farlo di persona onde evitare risentimenti vari - soprattutto miei )

Presupponiamo che l'ingrediente principale che caratterizza la mia famiglia, più stretta ma non solo, sia la Follia. Non intesa come pazzia medica, ma come mattitudine generica non diagnosticata. All'inizio potevamo sembrare quasi normali, almeno per chi non ci conosceva: avevo un papà e una mamma con la stessa residenza, più un paio di fratelli e una sorella molto più grandi di me - i quali, proprio per questa differenza d'età, mi hanno sempre adorata e coccolata come la "piccolina di casa". Non vi espongo le parentele che ci legano e che trasformano ogni rappresentazione di albero genealogico in un cespuglio di rovi, mi dilungherei troppo (ma ci tornerò su, credo), vi basti sapere che siamo una di quelle famiglie composte, ma la pubblicità dei sofficini Findus che uniscono le famiglie di questo genere ci fa una sega.
Mio padre non è mai stato molto presente nella mia infanzia, diciamo pure che preferiva stare in viaggio e fare l'uccel di bosco a tempo pieno, probabilmente per la sua scarsa attitudine alla pazienza nei confronti di qualunque forma di vita. Disgraziatamente, mia madre morì prima che io compissi undici anni, proprio nell'esatto momento in cui lui cominciava a transitare sempre più spesso in territorio partenopeo per mancanza di lavoro al nord: tale situazione lo portò, l'anno dopo, a trasferirsi definitivamente.
Ora, qualunque genitore avrebbe deciso di portarsi dietro anche la figlia minorenne e appena traumatizzata - ma, come dicevo, lui non ha mai passato molto tempo ad occuparsi di me, quindi per i miei fratelli fu relativamente facile convincerlo a lasciarmi a Treviso con loro. Ovviamente conobbe una nuova compagna a breve, napoletana verace con l'aspetto di Celìne Dion, diciott'anni più giovane ma abbastanza saggia da poter affrontare il family pack imbordellato che sfoderava quell'affascinante pelatone. Mi sono chiesta molte volte come facesse a sopportarlo: stiamo parlando di uno degli uomini più egocentrici, egoisti e menefreghisti della terra intera (poi i fatti hanno dato una risposta ai miei dubbi piuttosto in fretta, ma ne parlerò in seguito). Io sono sempre stata il suo "gioiellino", da esporre e mostrare agli amici (cosa che ha creato conflitto nel momento in cui scoprì che il gioiellino si ammazzava di canne da mattina a sera e si faceva fare i piercing al setto nasale negli scantinati, ma non divaghiamo): semplicemente, un nutrimento per il suo ego spropositato. E nonostante tutto, è pur sempre il mio papà, ed io gli voglio molto bene. Anche per questo motivo, il trentuno dicembre - una volta finiti gli antibiotici ed accertatami del mio stato di salute più o meno stabile - ho deciso di fare finta di non sentire le parole "lombosciatalgia", "riposo" e "ipertiroidismo", e mi sono imbarcata da sola in un viaggio di quattro ore in treno per raggiungerlo e nutrire il suo egocentrico bisogno di vedermi senza dover faticare.
Inutile dire che per sette giorni su otto ci sono state discussioni su qualcosa di sbagliato che ho detto o pensato, o su argomenti familiari specifici in cui sanno che non avremo mai la stessa opinione. Non ho ancora ben capito se i miei ormoni galoppanti mi abbiano reso particolarmente intollerante ai loro punzecchiamenti, ma temo di non sbagliare se dico che da quando sono incinta hanno milioni di argomenti in più con cui tormentarmi.
Mio padre si guadagna il primato nella categoria di avvoltoi dello stress che mi accingo a descrivere:

I GENITORI.

Per fortuna, nel primato di questa categoria non è l'unico ad occupare la top three.
Già: subito a seguire possiamo trovare mio suocero, un altro uomo in grado di essere tanto adorabile quanto asfissiante.
Di solito, la rompimaroni per eccellenza è rappresentata dalla famigerata figura della Suocera: ebbene, non è proprio il mio caso. Mia suocera, infatti, non figura assolutamente nella categoria: trattasi di una donna fantastica, molto dolce ma non melliflua, premurosa ma non invadente. Un amore di mamma, pragmatica, sprint, lavoratrice instancabile, con un gran senso dell'umorismo e due palle cubiche. In una famiglia (la mia) dove le Suocere hanno rovinato il 90% dei rapporti sentimentali , questo è un enorme regalo... ma, ovviamente, non può essere tutto rose e fiori. Per questo ci sono i due uomini a sostituire, in due modi diversi e complementari, questa figura da sommo scartavetramento di ovaie.
Non potrebbero esistere due persone più diverse: basti pensare che uno è nato lo stesso giorno di Hitler (mio padre, già) e l'altro, invece, lo stesso giorno di Che Guevara. Mio padre è un imprenditore assolutamente destrorso, capitalista fino all'osso ed adoratore delle apparenze, del lusso e della ricchezza materiale, edonista, pregiudicato ed un po' tanto losco, e come ho già detto cronicamente egocentrico, egoista e menefreghista nei confronti dei bisogni umani; l'aspetto curato ed elegante, i vestiti firmati, magro e con i capelli scuri, risente delle origini partenopee (mio nonno) e della Venezia altolocata in cui ha vissuto da giovane: un wannabe Gianni Agnelli moderno. Mio suocero, all'opposto, se potesse andrebbe in giro su un tappeto volante rosso con una stampa a falci e martelli: sindacalista convinto e fan sfegatato di Altroconsumo, abbonato al Manifesto ed al Vernacoliere ormai da anni, un passato di lotte contro Il Potere del Capitale anche nel suo ambiente di lavoro, quello medico, professione che denota già una predisposizione alla sensibilità nei confronti dei bisogni del prossimo - non senza l'accanimento che contraddistingue ogni buon protestatore rosso; onestissimo sempre e comunque, perennemente in felpa di pile e mocassini di marca sconosciuta, cresciuto tra vita nei campi e tessere del PCI: un omone con gli occhi azzurri e la faccia buona, ma pur sempre ferma e concreta, che ha partecipato al limite del soffocamento alla vita del suo unico figlio. Sono entrambi due persone piacevoli, di compagnia e abbastanza diplomatiche, per cui quelle poche volte che siamo costretti a farli incontrare sembrano persino andare d'accordo. Per il resto, sono uniti solo dall'affetto che provano per i rispettivi figli e partner degli stessi (per fortuna).
Sì, siamo un po' divisi tra due fuochi.
Da una parte mio padre, che come ho già accennato, pretende onore et adorazione in quanto pelato et anziano genitore: quindi, farsi quattro ore di treno da sola con i bagagli e una pancia da quattro chili non è un problema che lo riguarda, l'importante è che non sia lui a doversi muovere, anche se sarebbe molto più comodo. Mi ha convinto ad affrontare quest'Odissea il venticinque dicembre, quando ha sfogato ben bene la sua tendenza al melodramma (o mariomerolata, come la definisce mio fratello): io che chiamo allegramente per gli auguri, e mi arriva per tutta risposta una voce da funerale che comincia ad autocommiserarsi per il fatto che noi figli non lo andiamo a trovare per Natale, e lui il venticinque è senza famiglia, e quanto è triste e solo e sfortunato. Tutto con un tono di rimprovero nei miei confronti, perché cosa saranno mai le settecentoquattordici magagne da me subite nell'ultimo gravido periodo in confronto al povero papà abbandonato proprio il giorno della nascita di Gesù?  Guai a volerglielo sottolineare. Ad urlare vince lui, e a sensi di colpa io mi faccio sempre rigirare. Potete immaginare che il mio venticinque è stato una merda, il mio ragazzo ci ha messo un'ora buona a placare i miei singhiozzi, e sono arrivata a pranzo dai miei suoceri con una faccia che ricordava il due novembre. Quei sensi di colpa si sono trascinati placidamente fino al trentuno mattina, quando in preda alla rassegnazione ho guardato i treni diretti al meridione.
Altra badilata sugli alluci mi venne conferita uno di questi pomeriggi, mentre parlavamo del corredino da portare in ospedale quando sarà il momento. La sua illuminata massa cerebrale se ne esce candidamente con la domanda: ma non sarebbe meglio che partorissi qui a Napoli? *silenzio imbarazzante*. Non credo serva specificare che a nessun genitore sano di mente verrebbe in mente solo di porre una questione del genere. Una questione che comprenderebbe, in sintesi, un mese almeno di trasferimento prima e uno dopo il parto a casa dei miei, con conseguente isolamento dovuto al fatto che né il mio ragazzo né altri amici o parenti riuscirebbero a venirmi a trovare, perdippiù in una casa nella quale non so nemmeno dove siano gli asciugamani, dove ogni angolo è asettico e ricoperto di chincaglieria antica e tessuti facilmente rovinabili da un rigurgito infantile, e dove ti tocca fare cinque chilometri + scale per raggiungere la camera da letto dalla cucina. Meglio la grotta con l'asino e il bue. In questa crociata dell'orgoglio, figura come sempre al suo fianco lei, la sua Eva Braun, la mia matrigna che in realtà non è cattiva - solo che ogni tanto la disegnano con il limone. A volte - imprevedibilmente - mi difende, ma sul tema nipoteinarrivo è raro che ciò succeda. A lei conferisco la terza posizione, sia per la minor costanza nel proporre critiche ed esantemi anali con regolarità, sia perché poi riesce a farsi perdonare con premure extra da mamma chioccia nelle quali io mi adagio come in un pouf a sacco. Anticipo la sua descrizione in seguito a quella di Adolfo, trovandola molto spesso in combutta con lo stesso a darmi spudoratamente torto per questioni quali: preparazione di cibi per neonati, toxoplasmosi, leggende metropolitane più o meno sfatate sulla possibilità di ingerire certi tipi di cibi in gravidanza o allattamento ( - La puoi bere la birra! Fa montare il latte! -  - Ma sono solo al quinto mese, e poi mi dà fastidio anche l'odore dell'alcol ora come ora -  - Bé, potresti sforzarti.. - ), paragoni con altri bambini della famiglia prima ancora di averla messa al  mondo (in particolare utilizzando la nipote grassoccia, rompiballe e piuttosto brutta come esempio "sano" e l'adorabile et bellissimo figlio di mio fratello come esempio "denutrito" e "lagnoso" - viva il Mondo degli Opposti), possibili catastrofi perché qualcuno ti ha regalato una tutina prima del sesto mese (proverbiale superstizione meridionale), eccetera. Mio padre sostiene le sue tesi portando esempi di vita vissuta con mia madre che non può sapere, visto che il 90% del tempo non era nemmeno lì a presenziare; la mia matrigna, invece, sostiene e sponsorizza il tutto come una persona che, per quanto in gamba nell'avermi allevato dalla prima adolescenza in poi, non ha mai dovuto / voluto / potuto dare alla luce dei figli provenienti dal suo utero. La sua casa asettica e perfettamente ordinata, i suoi programmi di gestione della giornata sequenziali ed organizzati e la sua carriera programmata in anni in cui ancora si poteva non hanno mai subito lo sconvolgimento dato dall'arrivo di un pargoletto che urla e chiede attenzioni costanti. Ma guai a dirglielo, passerebbe dall'offeso al passivo-aggressivo, alla tristezza / senso di inadeguatezza che farebbe sentire una merda chiunque. Occhi al cielo e via, insomma.

Orbene, mi sono dilungata anche troppo sul mio patrimonio genetico acquisito e non, e non voglio che i miei sembrino gli unici pazzi. Passiamo alla parte opposta: l'adorabile uomo che asfissia, la seconda postazione in classifica: mio suocero.
Come prima accennavo, lui ha partecipato attivamente alla vita di suo figlio: non ha mai mancato una partita di calcio o qualsiasi altro evento saliente, ha sempre elargito aiuto per ogni evenienza, rimanendo al limite tra il consiglio e l'imposizione. Ad oggi, è il primo ad essere chiamato quando il mio ragazzo ha un problema - cosa non sempre positiva, nel senso che tende all'intromissione anche quando non viene interpellato. Quando poi suggerisce qual è la cosa migliore da fare, ovviamente secondo lui, pretende che la si segua alla lettera: se dovesse avere la sensazione che ciò non accada, passa al tartassamento - tecnica che io chiamo Della Goccia per il suo modo di picchettare con regolarità una superficie fino ad arrugginirla. Chiama due, tre, otto volte al giorno tutti i giorni chiedendo "Allora hai fatto così? No, perché è il modo migliore, quindi devi farlo. Perché se non farai così ti succederà quest'altro." Il suo potere di convinzione si basa senza dubbio sullo sfinimento, motivo per cui alla fine la risposta, da parte di suo figlio, sarà sempre "Ok papà, lo faccio".
Devo dire che questa sua costanza ha influito anche su di me: prima di conoscerlo, non andavo a votare e non mangiavo tre quarti delle verdure esistenti (e ancora insiste sull'insalata che detesto). Ora le verdure mi piacciono (a parte l'insalata) e quando c'è da votare mi precipito anche la mattina presto, solo pensando all'espressione di disapprovazione che potrei vedere sul suo volto in seguito.
Presumo che questo potere si sia, nel tempo, fuso con il suo metodo educativo: il modo di vedere la realtà di suo figlio finisce sempre per coincidere con il suo, giusto o sbagliato che sia. Consideriamo anche il suo mestiere: lavorando in campo medico, si sente un po' il guru indiscusso in materia - e neanche a dirlo, condivide questo sentimento con il suo figliolo.
Ora, senza nulla togliere alla sua bravura e professionalità, vorrei specificare che non è medico, ma infermiere. E io (sì, ho delle convinzioni piuttosto radicate e cariche di pregiudizi, ma fondate sull'esperienza personale purtroppo) già mi fido poco dei medici, quindi si può facilmente immaginare quanto mi fidi della sapienza infermieristica. Generalmente, infatti, liquida tutto con a) una puntura (AARGH); b) un "non è niente": l'ultima volta che l'ha detto, il mio ragazzo aveva una torsione testicolare di 180°, a causa della quale dovette anche subire un'operazione (la palla comunque è ancora al suo posto, a titolo informativo - e a quanto pare funziona benissimo). Ho un determinato ricordo che riguarda una litigata feroce in un ferragosto, quando un grumetto di bolle da calore si presentò nella mia zona perineale: il mio ragazzo pretendeva che io la mostrassi a mio suocero. CERTO, chiunque si sentirebbe a proprio agio a fare una cosa del genere. Il fatto che abbia lavorato per secoli nell'ospedale migliore della città è allo stesso tempo un'ansia e una consolazione: avrò una persona di riferimento che conosce chiunque lì dentro ed un gigantesco passepartout per ogni sala - ma visto che è un po' libero di scorrazzare dove gli pare, temo si presenti in sala parto di punto in bianco chiedendo allegramente "Alloraaaaa, dov'è la testa della mia nipotina?!"
Dulcis in fundo, descriverò anche il suo apice di rompiballità: era un pigro sabato pomeriggio di metà autunno, il mio ragazzo (è scomodo dire sempre "il mio ragazzo", lo so, ma non gli ho ancora chiesto se è d'accordo che scriva il suo nome) aveva lavorato come uno schiavo per le due settimane precedenti e io uscivo da un'orribile settimana in ufficio, come da copione. Ci stavamo quindi dilettando con attività rilassanti quali Final Fantasy (lui) e Candy Crush Saga con Gatta in Braccio (io) direttamente dal divano, indossando indumenti soffici e sformati, decisi a rimanere in totale isolamento et svacco almeno fino al giorno seguente.
Potete immaginare l'inquietudine quando è suonato il campanello, ma dalla telecamera esterna non si vedeva alcuna persona... perché quella persona, nel giro di un secondo e senza essersi annunciata, era già in salotto.
Questo è il brutto di avere una casa senza un vero e proprio "ingresso blocca-ospiti". Insomma, se uno sa da che parte andare e la porta non è chiusa a chiave (di giorno quasi mai, visto che per fumare o buttare la spazzatura si va fuori), entra senza problemi.
Mio suocero prova un particolare piacere ad entrare senza suonare, e quella volta era ovviamente lui ad essere nel nostro salotto. Per quale motivo? Visita di piacere? Secondo la sua ottica, sì. Era infatti venuto a dirci che secondo lui tenere una casa in affitto vuol dire gettare i soldi dalla finestra, che aveva visto una casa da comprare, era andato a vederla e si offriva di pagarcene almeno metà. Oro colato, direbbe la maggior parte delle persone. Certo, se non fosse stato che: a) ci eravamo trasferiti da appena due mesi in una casa meravigliosa, e avevamo appena smesso di scartabellare gli scatoloni; b) come se il punto precedente non bastasse, traslocare anche la neonata / il mio pancione oltre agli scatoloni sarebbe una fatica immane; c) la casa che egli aveva visto (senza consultarci), guarda caso, era situata proprio dietro la dimora suocerale (ARRRRRRGH). Mettiamoci anche che avevamo appena felicemente abbandonato un odioso condominio per una casa quasi singola, invece la casa da lui proposta sarebbe stata proprio in un (seppur piccolo) condominio. La mia perentorietà sulla decisione è servita per metà, dato il risentimento da lui provato alla minima reazione negativa: il mio ragazzo ha tentato infine di dargli un contentino andando a vedere il suddetto appartamento, quindi so bene che la sua insistenza continuerà ancora a lungo.

Dopo tutto questo sproloquiare, posso anche ritenermi fortunata, persino rispetto alle unioni che ho vissuto (da spettatrice) nella mia famiglia: nonne arpie che non accettano nemmeno un matrimonio o o rifiutano nipoti acquisiti, suocere che si piazzano in casa con la netta intenzione di mandare in vacca l'armonia familiare e il potere decisionale della nuora o che dilapidano patrimoni in due pesi e due misure, preferendo un figlio all'altro.
Ed è pur sempre un tipo di accanimento che davvero mi lascia oltremodo perplessa: con tutte le difficoltà che si presentano in un'occasione del genere, c'è davvero bisogno di subire valanghe di malessere dalle persone che a loro volta ci hanno messi al mondo? Voglio sancire qui, in questo blog, di non rifare mai questo stramaledetto errore, neanche in minima parte. 

Hai capito, piccola mia? La mamma l'ha scritto, quindi dovrà farlo. Sempre se esisterà ancora, potrai usare questa pagina come ricatto - magari vendicandoti delle tue foto vestita da gufo che pubblicherò sulla mia pagina Facebook il prossimo Halloween. 

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